Voyage that never ends di Stefano Scodanibbio è probabilmente la composizione di maggior rilievo per contrabbasso solo. La durata notevole della composizione (45 min) la associa a quell’universo sonoro in cui c’è un “perdersi”, un farsi attraversare dal materiale musicale in maniera diretta, mettendola pertanto in relazione con la musica popolare di tutto il mondo. L’importanza di questo brano di musica nel panorama contemporaneo consiste proprio in questo: la capacità di parlare a qualsiasi ascoltatore in maniera diretta e “astorica”, pur mantenendosi radicalmente impiantata nella nostra contemporaneità.
Il brano è innovativo anche da un punto di vista tecnico, sia per le nuove possibilità strumentali inventate da Scodanibbio, sia per l’esplorazione scientifica di alcuni fenomeni acustici generati dalle risonanze del contrabbasso, analoga alle sperimentazioni generate negli stessi anni di Arnold Dryblatt.
Voyage that never ends è stato composto tra il 1978 e l’anno della scomparsa dell’autore (2011), sviluppandosi negli anni intorno a un materiale concettuale di partenza. Nonostante il brano abbia avuto centinaia di esecuzioni dell’autore stesso, esso non è stato trascritto in una notazione precisa: l’identificazione dell’autore con il suo lavoro ha in un certo senso reso impossibile una codificazione fissa ed esatta del pezzo, seguendo la regola che dice che ogni formalizzazione di un idea vivente e pulsante, ne porta inevitabilmente alla morte.
Ho avuto il privilegio di essere l’unico ad imparare il pezzo direttamente dal M° Scodanibbio durante gli anni precedenti la sua prematura scomparsa. Il processo di apprendimento è avvenuto in maniera diretta, partendo da uno studio estremamente puntiglioso delle tecniche impiegate nel brano. Purtroppo la sua morte ha lasciato questo processo di tra-dizione incompiuto, tralasciando l’ultima sezione del brano.
Il lavoro di ricerca e di “ricostruzione” delle parti di Voyage che non ho potuto studiare con Stefano , consiste anzitutto nel confronto di diverse registrazioni e video del brano eseguite dall’autore stesso, alla ricerca di una partitura “rizomatica”. Cosa c’è in comune tra queste versioni, e cosa si può definire “testo”, quale l’intentio operis e quale l’intentio autoris, sono state il mio campo di ricerca e investigazione. Essendo, in questo caso specifico, i due tipi di intentio strettamente correlati, ho cercato di approfondire lo studio di tutti i riferimenti culturali che facevano parte dell’universo personale di Scodanibbio. Per fare solo un esempio, non si possono ignorare gli studi compiuti dall’autore sulla metrica indiana, se si vogliono ricostruire in maniera “flessibile” alcuni passaggi.
Voyage è un capolavoro della nostra contemporaneità, per e oltre il contrabbasso.
Voyage è anzitutto un dispositivo. “Un dispositivo è come una matassa, un insieme multilineare composto da linee di natura diversa. Queste linee seguono direzioni, tracciano processi in perenne disequilibrio…Ogni linea è spezzata, soggetta a variazioni di direzione, biforcante e biforcuta, soggetta a derivazioni. “ *
Alcune di queste forze possono essere descritte come processi di accumulazione o distensione, e seguono strutture ben precise e definite. Le relazioni tra queste forze che a volte si intersecano, stabilisce la mappa del labirinto della mente che lo ha creato. La deliberata scelta da parte di Stefano di non pubblicare una partitura scritta, fa sì che un interprete successivo a lui si debba inevitabilmente tuffare nel mare di questa matassa con gli occhi di un esploratore, intraprendendo così una inesorabile continuazione di un viaggio. Tra-dire un’opera aperta come Voyage that never ends vuole dire entrare nei sistemi mnemonici e le strutture cognitive di Scodanibbio, esplorarne il labirinto, e alla fine scoprire il pensiero che ne sta dietro in maniera profonda.
Studiando Voyage, mi imbattevo in un sistema di apprendimento completamente non lineare, così come lo è stato per l’apprendimento della prima parte, avvenuta con Stefano e attraverso Stefano . Dico attraverso perchè in Voyage a un certo punto questa ricerca, questo viaggio, diventa impersonale, non più dell’autore, ma della conoscenza collettiva. Un po’ come le biblioteche di Borges, o il suo famoso Giardino dei sentieri che si biforcano, Voyage è un insieme di possibili risultati di un evento, ognuno dei quali a sua volta si ramifica in possibili futuri. Mi piace immaginare che diventi un giorno un rito, una prassi ricorrente: suonarlo, ascoltarlo… perdersi… interrompersi… continuare…