“ur – welt, sprache, text – la lingua tedesca ci ricorda, si ricorda, di uno stare, un sostare, controcorrente.
—
dentro a molte delle attuali convenzioni (musicali) esiste un senso più ampio, un cardine direi, attorno al quale le differenti angolature si sono gradualmente sviluppate come raggi, sempre più lontano dalla loro origine comune, fino a escludersi a vicenda nelle rispettive conclusioni. E’ il passaggio fondamentale che permette ad ognuno di elaborare la propria identità, culturale e personale: un processo di selezione progressiva, che spesso esclude l’altro da sé fino a combatterlo. Siamo arrivati così all’infinita complessità del mondo attuale, al suo inarrestabile frazionamento, si, ma anche alla possibilità di uno sguardo/ascolto più consapevole su ciò di cui siamo fatti. Portandoci momentaneamente fuori dalla mischia, il prefisso ur sospende la forza centrifuga di ogni interpretazione, attivandone la potenzialità centripeta: è solo in apparenza un ritorno, si tratta piuttosto del caricamento indispensabile ad un nuovo salto interpretativo, che ci servirà a ricollegare fra loro conclusioni apparentemente inconciliabili, in un nuovo, per quanto provvisorio, ordine comune.
—
ur, 2 riti per contrabbasso è una riflessione su i due ruoli principali del contrabbasso nella storia della musica: l’intensa energia unificatrice del suo suono pedale, e il basso continuo, poi diventato walking (e talking) bass,
come motore nascosto di tutte le danze.
Ho esplorato questa doppia natura, continua e discreta, in parallelo alla sacralità del toro in molte culture, (figura per me particolarmente vicina al contrabbasso) e in particolare al mito del Minotauro.
Si sono intrecciate fra loro tre linee di sviluppo:
. il suono teso, come potente pulsione alla vita
. l’articolazione (il nodo, la piega), quale inesauribile principio generativo
. il labirinto (sua progettazione e attraversamento), come arrischiante metafora del comporre
Ne è nata una doppia visione, speculare ma asimmetrica: l’una attiva l’altra, trasformando al contempo se stessa. Dalla visione, poi, i 2 riti, l’esatta formulazione dei gesti che permetterà all’uno e all’altra di uscirne quasi incolumi, per 2 strade differenti.
u – il I rito (35’) è in tre parti:
I.1 (17’36) esplora le relazioni fra il grave e l’acuto, partendo dalla II corda vuota (C#) e il suo settimo parziale, per poi coinvolgere progressivamente III I e IV (A G e F); ne affiora un labirinto d’echi e compresenze, tessuto dal ciclico ritorno degli armonici sull’intera estensione delle 4 corde. Al suo interno, suono grave e acuto s’inseguono prevalendo a fasi alterne; il piano d’appoggio stesso a fasi alterne s’inclina, oscillando fra la metrica distesa e la pulsazione incalzante, fino a generare un intenso stato energetico.
I.2 (10’53), cavalcando la pulsazione si lancia in una spericolata danza per la sopravvivenza, fra una coscienza (strumentale) sempre più articolata e il suo corpo potente; ci si accorgerà che entrambe son fatte da gradazioni differenti della stessa materia: nessuna della due quindi soccombe, ma niente sarà più come prima.
I.3 (6’44) è una cesura e un residuo, né dentro né fuori al labirinto dissolto: la lacunosa sintesi dei fatti accaduti, proiettata su un altrove; è l’unico appoggio di un ponte interrotto.
—
r – è l’altra sponda, alla quale il ponte puntava; siamo già lì. Il II rito è in due parti:
- II.1 (8’19) senz’arco: un improvviso ritorno alle origini dello stupore nel sentir vibrare una corda tesa,
- due, tre, quattro, e il riprendere progressivamente vita di un’energia ancora più potente, pulsante,
- danzante… che nel suo attraversare lo strumento cresce e si rafforza, per spingersi fino ai limiti
- dell’udibile e trasformarsi ancora, questa volta senza cesura, ritrovando l’arco
- II.2 (13’27) un arco nuovo però, quasi fosse un’altra mano in cima ad un braccio più lungo, che abile
- arriva là dove la destra non può.
- Chiamato ad una acrobatica danza dalla mano sinistra, spericolato si lancia ad intrecciare con quella un
- fitto contrappunto d’impulsi che soffiando sul fuoco arriva a fondere, generando un armonico incanto.—
L’insieme dei 2 riti vorrebbe ricordare e custodire l’origine sacra del desiderio («Kama, il primo seme della coscienza» Renou traduceva dal Ṛgveda 10, 129, 4), circoscrivendo un luogo e due percorsi al suo interno. Un doppio lume ne ha dettato le coordinate: Stefano Scodanibbio, l’esploratore poeta di questo strumento, e Gerard Grisey, che dal vuoto della sua IV corda ha saputo generare l’intero espace acoustique.
Un’unica dedica invece – a Dario Calderone, insostituibile compagno di questo lungo viaggio.”
Giorgio Netti